L’idea di trasfondere il sangue di una persona sana in quello di un malato ha origine nel Rinascimento, quando l’alchimia e la magia cedettero il passo alla nascente scienza medica. Prima di allora il binomio sangue-vita era molto presente nella pratica magica: il sangue veniva dato da bere per ridare forza ed energia, bellezza e giovinezza.
Il primo tentativo accertato di trasfusione risale al 1492, l’anno della scoperta dell’America. Un medico ebreo dovette scappare da Roma dopo aver dissanguato a morte tre giovani nel tentativo di curare papa Innocenzo VIII, senza successo. Dopo quest’episodio, seguirono quattrocento anni di tentativi sporadici, che alternavano risultati disastrosi con benefici di scarsa rilevanza.
Nel 1628 William Harvey, medico inglese, scoprì il sistema circolatorio del sangue.
Nel 1667 il medico Jean-Baptiste Denis iniettò sangue di agnello a un giovane, malato di tifo.
Il paziente morì e l’uso del sangue animale, diffuso a quel tempo, fu ben presto abbandonato.
Passano quasi 150 anni e nel 1818 il medico inglese James Blundell ottiene un successo insperato: una giovane con emorragia post partum riceve il sangue del marito con la tecnica di trasfusione da braccio a braccio.
Un dato è certo: usando il sangue umano i rischi sono minori, anche se rimangono altissime le possibilità di reazione, anche mortale.
Bisogna aspettare il 1900 per incontrare Karl Landsteiner, il medico austriaco che scoprì i primi tre gruppi sanguigni: A,B,0 ed è grazie a questa scoperta che l’idea di compatibilità tra donatore e ricevente diventa un assioma della medicina trasfusionale.
L’organizzazione della trasfusione deve molto ai due conflitti mondiali: dovendo porre rimedio alle emorragie ed effettuare operazioni al fronte, le tecniche trasfusionali vengono notevolmente migliorate.
Nel 1923 nasce il primo centro trasfusionale francese.
Nel 1927 il dott. Vittorio Formentano fonda lo Studio ematologico milanese: da queste esperienze prenderà corpo il nucleo originario dell’AVIS